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mercoledì 9 dicembre 2015

ECCO PERCHE' LE IDEOLOGIE NON HANNO FONDAMENTO.

Salve gentili lettori.

Questo articolo lo dedicherò ad un'analisi che mi ha  portato a porre la parola fine su un ragionamento che mi frullava in testa ormai da ormai troppo tempo. 
Da quando ho conosciuto e poi abbracciato il pensiero di Beppe Grillo, che poi s'è evoluto nel tempo attraverso i programmi del Movimento 5 stelle, mi sono sempre trovato d'accordo sul fatto che il fattore ideologico fosse di troppo, e fungesse da tappo nei confronti della possibilità d'impostare il dialogo politico in modo più aperto rispetto al passato e al presente.

Non credo di essere l'unico a cominciare ragionamenti più profondi in attesa che arrivi il sonno. Qualche notte fa, in attesa di addormentarmi, ho cominciato a riprendere il mio ragionamento sull'ideologia, riuscendo ad arrivare alla mia realtà personale.

Ho preso l'ideologia di destra e di sinistra, e le ho incrociate tra loro attraverso il concetto di multiculturalismo all'interno di uno Stato, e di dottrine economiche appoggiate dalle due correnti.


                                    PRIMO ASPETTO: IL MULTICULTURALISMO

Per definizione, il multiculturalismo è l'appartenenza o la partecipazione a diverse culture. Osservandolo da un punto di vista politico, il multiculturalismo è la politica sociale volta a riconoscere, all'interno di un paese, l'identità culturale e linguistica di ciascuna delle componenti etniche.
Se in passato il multiculturalismo italiano poteva esser limitato alla protezione delle culture regionali o locali, ai dialetti, alle minoranze linguistiche presenti nel territorio, come il caso del sardo, gli sviluppi dell'economia verso una scelta globalizzata, è andata a proporre un nuovo multiculturalismo, atto a valutare la forte presenza nei confini italiani, di culture estranee alla nostra. Vedi le culture rom e africane.
La resistenza del concetto di ideologia, completamente annullato da un punto di vista economico, vista l'unica strada seguita sia da governi di sinistra e di destra, si aggrappa ormai esclusivamente alla valutazione del multiculturalismo all'interno della società di uno Stato.

Dalla sinistra, abbiamo una forte apertura alle nuove culture, all'accoglienza, allo sviluppo di strumenti che diano la possibilità a persone non cittadine di quello Stato di poter proseguire il loro percorso di vita, senza dover rinunciare alle loro tradizioni. Vi è quindi una forte apertura.

Dalla destra, abbiamo una chiusura netta verso le nuove culture, con restrizioni pesantissime sull'accoglienza, ed una chiusura totale allo sviluppo di strumenti che permettano ai cittadini esterni di proseguire le loro tradizioni anche fuori dai loro Stati. Vi è una forte apertura verso l'adeguamento dei cittadini esteri alla cultura interna allo Stato. Un adattamento quasi costrittivo, date le chiusure ad una possibilità di dialogo.


                       SECONDO ASPETTO: LA POSIZIONE DI POLITICA ECONOMICA

Negli anni '60 e '70 questa era una forte componente dell'ideologia, ma oggi si è completamente annullata, almeno in Italia. Le politiche economiche interne all'UE vengono sostanzialmente imposte dall'alto, con margini di manovra davvero limitati dovuti al rispetto dei parametri dell'Unione, tra cui i parametri dei Trattati di Maastricht e di funzionamento dell'Unione Europea.
Possiamo ritenere la politica economica ideologizzata, se non morta, almeno sepolta in attesa di una nuova fioritura.
Ma valutiamola ugualmente.

Dalla sinistra, abbiamo una posizione ben precisa, dettata dall'ideologia comunista, che presuppone il concetto primario di proprietà pubblica dei mezzi di produzione, portata avanti dalla figura statale. Ora, lo statalismo è andato a scemare in tutte le anche nella vera ideologia comunista, con l'avvento del capitalismo più o meno soft, però l'idea di base è questa.

Dalla destra, abbiamo una posizione tendente al liberismo, che presuppone la libera iniziativa economica, e il libero mercato, senza o con limitatissimo intervento dello Stato all'interno di esso. Il privato è posto come soluzione alle problematiche, fiduciosi che il mercato sappia movimentare nel modo giusto il capitale, senza bisogno di correzioni dello Stato.
Il liberismo è una posizione di politica economica tale da creare dei vantaggi competitivi nelle diverse produzioni su scala mondiale, attraverso la globalizzazione, che permettano di rendere sostenibile e remunerativa una determinata produzione, in un determinato luogo. Il risultato finale è un minor prezzo del bene finito per tutti, perché per un paese non produttore, produrre quel determinato prodotto costerebbe di più che importarlo dall'estero.


Quindi, ricapitolando, abbiamo un incrocio di posizioni delle due ideologie,  in base al concetto che si prende in considerazione:

PERSONE: sinistra, più libertà di flusso e più multiculturalismo; destra, meno libertà di flusso e meno multiculturalismo;
CAPITALE e ECONOMIA: sinistra, controllo accentrato per mezzo dello Stato, e quindi meno libertà; destra, più libertà al capitale, capace attraverso il mercato di allocare le risorse dove risultino più produttive.

Le ideologie esistono esclusivamente per creare divisioni nella società. Se nel capitale ormai nella sostanza la posizione è omogenea da parte di destra e sinistra, l'unico tema che le mantiene ancora in piedi è il dibattito in campagna elettorale sulle persone. Nella sostanza le posizione si stanno andando ad incontrare anche in questo caso.

Questa canzone di Gaber spiega tutta la politica attuale attraverso un pezzo favoloso. Avrei potuto riassumere questo articolo esclusivamente postando questo video. "Il Conformista".


Non sono le ideologie a dover guidare un dibattito, ma gli ideali. Gli ideali come realtà non tangibile oggi, ma su cui lavorare su base progettuale, per arrivarci il più velocemente possibile.




Alla prossima.

venerdì 20 novembre 2015

TERRORISMO - DUE PESI, DUE MISURE.

Salve gentili lettori.

Questo breve articolo vorrei dedicarlo alla diversa visione data ad una strage di proporzioni simili, in base alla collocazione geografica in cui essa ha luogo. Due pesi, due misure. 
Ma i civili innocenti parigini valgono esattamente quanto quelli nigeriani, libici, russi, palestinesi o siriani.
Vogliamo un equilibrio, in nome della fratellanza tra i popoli e del ripudio della guerra.

Buona lettura.


La concezione del "due pesi, due misure", in base alla collocazione geografica della strage, non appartiene di natura all'animo umano.
E' un modo di ragionare che si acquisisce attraverso l'educazione impartita, nel tempo, dallo sviluppo della società, e si basa su ragionamenti di carattere economico, geografico e geopolitico. 
S'è formata una cornice preconfezionata, dove tutti noi siamo rimasti ingabbiati, diventandone prigionieri. E' molto facile acquisire questo metro di giudizio, perché lo facciamo in modo indiretto e inconsapevole, mentre, al contrario, è difficile uscirne. Questo semplicemente per il fatto che la società in cui siamo inglobati, essendo spinta verso il centro della cornice, ci spinge a sua volta verso il centro rendendoci parte integrante di una catena, formata dall'informazione controllata e dagli male informati che a loro volta creano un passaparola. 
Credo di poter dire per esperienza personale che, essendone prigionieri, tutti noi al recepimento dell'informazione stiamo dentro la cornice, per poi tentare di divincolarci quando la ragione prova a venire nuovamente a galla. La ragione dev'essere allenata a venire a galla, altrimenti si resta con la benda negli occhi.

I due attentati di Parigi hanno avuto un richiamo informativo infinitamente maggiore rispetto ad altre stragi. E non parlo solo della notizia in se, ma anche dell'aspetto emotivo che ci lega a quest'avvenimento.
Ricordo che la prima strage di Parigi (parlo dell'attacco alla sede della rivista satirica Charlie Hebdo), fu nel gennaio del 2015. 
Il 3 gennaio 2015, a Baga (Nigeria), i fondamentalisti islamici sunniti di Boko Haram, attaccarono la città ammazzando 150 persone (stima del governo nigeriano); tre giorni fa, sempre Boko Haram ha attaccato un mercato nel nord-est della Nigeria, uccidendo 42 persone e ferendone altre 120.
E' di ottobre l'attacco alla capitale nigeriana Abuja, con diverse esplosioni che hanno causato almeno 18 morti LINK.
Mentre è del 31 agosto l'attacco nel nord-est della Nigeria che ha causato 56 morti LINK.
Boko Haram è strettamente legato all'ISIS, tanto da esserne alleato LINK. Sono di poche ore fa i dati che danno Boko Haram come organizzazione terroristica più prolifica LINK.

Dell'aereo russo precipitato nel Sinai con a bordo 224 persone rimaste uccise, non ho sentito ugualmente lo stesso sdegno provocato dai due attentati parigini, seppur anch'esso fosse stato immediatamente rivendicato dall'ISIS.



Per i civili siriani colpiti dall'offensiva francese, ugualmente non ho sentito nulla. Ricordo che l'offensiva si è svolta a Raqqa, capitale (se così vogliamo chiamarla) dell'ISIS in Siria. I dati del 2009 danno una popolazione di 196 mila persone in questa città, non esattamente una zona disabitata.
Ci sono video che mostrano civili innocenti sfollati, che trasportano tra le loro braccia bimbi senza sensi o gravemente feriti, e corpi di civili accasciati a terra senza vita.



Due pesi, due misure. Il primo lo chiamiamo terrorismo, il secondo militarismo. Ma gli effetti sui civili innocenti li provocano entrambi.

Alla prossima.

giovedì 12 novembre 2015

L'EXPO DI MILANO A 360° - MA E' STATO DAVVERO UN SUCCESSO?? RICORSI STORICI, CONFRONTI CON ALTRE EDIZIONI, DATI VARI, E RICOSTRUZIONE DELL'ORGANIZZAZIONE.

Salve gentili lettori.

Il seguente articolo è dedicato all'EXPO di Milano 2015, uno dei temi principali non solo degli ultimi mesi, ma anche degli ultimi anni, in Italia. Cercherò di analizzare i dati disponibili per trarre le prime conclusioni, in attesa di informazioni ufficiali che pongano la parola fine sulla manifestazione. 
Vedremo un po' di storia riguardante alcune edizioni precedenti dell'EXPO, sia in termini numerici, ma anche attraverso ricordi di edizioni mai dimenticate, per un motivo piuttosto che per un altro. Confronterò l'edizione di Milano-Rho, con le precedenti in termini di affluenza; l'obiettivo è quello di riuscire a toccare quanti più temi possibili inerenti alla manifestazione (progetto iniziale, sviluppo, opere non portate a termine, dati d'affluenze e previsioni iniziali, ed altro).

Il governo e la maggioranza tesse le lodi di un EXPO Milano 2015 stratosferico, che rimarrà nella storia, e che ha rilanciato sia l'immagine dell'Italia nel mondo e sia l'economia italiana, grazie agli introiti derivanti dall'afflusso turistico portato dall'esposizione. Ora analizzeremo i dati e vedremo se le cose stiano effettivamente così, o si tratta solo di propaganda spicciola e di cattiva qualità.


Buona lettura.



                                                              CENNI STORICI

La storia di EXPO nasce nel 1851, quando l'impero britannico decise di ospitare un'esposizione maestosa, con l'obiettivo di mostrare la sua potenza industriale a tutto il mondo. A partire da quella prima, storica esposizione universale, possiamo contare ben 34 eventi come questo, organizzati in modo ciclico in diverse città di tutto il mondo.
Storicamente, almeno personalmente, oltre il primo EXPO, ho avuto modo di conoscerne altri due, per motivi differenti.


Il primo EXPO che ricordo, per aver studiato qualcosa sul tema, fu quello di Parigi, svoltosi nel 1889. Esso passò alla storia per la costruzione specifica, appositamente per tale evento, della Tour Eiffel.
Essa fu costruita in due anni, due mesi e 5 giorni, dal 1887 al 1889, dall'ingegnere Gustave Eiffel. Inizialmente, essa sarebbe dovuta rimanere integra per vent'anni, per poi essere demolita, tuttavia, grazie ai suoi utilizzi anche sul campo scientifico e comunicativo, si decise di non demolirla e di restaurarla nel tempo. Un vero simbolo, divenuto ora icona di Parigi, intatta 126 anni dopo.




L'altro ricordo storico di un EXPO, che mi è capitato di studiare è quello di Roma, che tuttavia saltò per il secondo conflitto mondiale. L'EXPO di Roma era stato organizzato per il 1942, programmato ed organizzato dal regime fascista in occasione del ventesimo anniversario della marcia su Roma.
In preparazione dell'evento, fu progettato anche un quartiere fieristico, ora chiamato Europa, ma precedentemente avente il nome di EUR o E42. EUR non a caso! esso infatti è l'acronimo di Esposizione Universale Roma, ed il 42 deriva dall'anno in cui si sarebbe dovuto svolgere l'EXPO di Roma, il 1942 appunto.
Proprio l'aspetto progettuale richiama molto l'EXPO di Milano, in quanto esso verrà smantellato e poi, molto probabilmente, l'area cementificata a danno ambientale ed agricolo andrà a costruttori per fini edilizi (sembra vogliano trasferirci alcune facoltà universitarie).
E pensare che il 25 aprile 2013 si sarebbe presentare un progetto dettagliato che proponesse l'utilizzo successivo dell'area dell'esposizione dopo lo smantellamento dei padiglioni.


Ora, dopo un aspetto storico, doveroso, passiamo nel dettaglio all'EXPO di Milano ed all'analisi di alcuni dati disponibili, per tracciare un'idea di massima dell'andamento dello stesso.


                                                   EXPO MILANO 2015
                                             
Nel trattare l'EXPO di Milano 2015, proviamo a ricostruire cronologicamente qualche avvenimento principale, che ha preceduto la manifestazione. Partiamo dall'annuncio dell'allora Presidente del Consiglio Berlusconi, datato 31 marzo 2008. Nello specifico, Milano vinse la sfida con Smirne per 86 voti a 65.




Il progetto presentato dall'Italia, nella sede di Milano, fu scelto dal B.I.E. come il più interessante ed ambizioso, per questo ebbe la meglio su progetto presentato dalla città marittima di Smirne, in Turchia.
Milano presentò la sua candidatura, forte del programma elettorale della prima cittadina Moratti che, in campagna elettorale, pose come punto fondamentale la candidatura di Milano alle Universiadi, EXPO ed Olimpiadi del 2020. Milano voleva mostrarsi pronta per eventi di caratura internazionale.
In effetti vinse, perché si impegnò a completare grandi opere davvero impegnative, che sarebbero dovute andare a creare un contorno infrastrutturale all'esposizione universale, che poi sarebbero rimaste come eredità per il futuro.

Tra queste infrastrutture, troviamo:

-  BIBLIOTECA EUROPEA, progetto che ebbe uno studio di fattibilità già nel 1998, che aveva l'obiettivo di abbracciare un pubblico di 7 milioni di cittadini. Questo progetto fu poi ripreso per EXPO 2015, ma ridimensionato ad una biblioteca digitale, non terminata per EXPO;
- CITTA' DELLO SPORT, un progetto che avrebbe voluto creare nei pressi di Rho un polo sportivo tale da garantire infrastrutture per più discipline, che tuttavia s'è arenato;
- CITTA' DELLA GIUSTIZIA, sulla stessa falsariga della città dello sport, essa avrebbe dovuto aggregare tutti gli uffici disseminati nella città, con la presenza di un tribunale e di un carcere. Ma questo progetto s'è arenato;
- CITTA' DEL GUSTO, essa avrebbe dovuto avere una funzione di polo di ricerca sull'alimentazione. Era uno dei progetti fondamentali in vista dell'EXPO, ma è saltato;
- VIE D'ACQUA NAVIGABILI DI 20 KM, progetto ambizioso, ma sogno ridimensionato per motivi tecnici ad un'unica via, non navigabile come promesso in partenza, collegato ad un percorso ciclabile di 8 km;
- METROPOLITANA, progetto ambizioso, con due vie di metropolitana che avrebbero dovuto portare i visitatori direttamente nel sito di EXPO. Progetto rimandato e sostituito con un servizio di bus navetta.


Il costo totale stimato per le infrastrutture collegate ad EXPO Milano 2015 varia dai 12 miliardi esposti dal documento di Confindustria a pagina 2, ai 14 miliardi espressi dall'economista Perotti nel documento L'Expo è un grande errore. L'ammontare totale difficilmente sarà quantificabile.
L'Expo ha avuto molti aspetti controversi, a partire dalle deroghe alla legislazione. Sono ben 46! ovvero ci sono 46 parti di leggi per cui EXPO Milano 2015 è stata, come dire, esentata. Non parliamo degli aspetti giudiziari che hanno nel tempo colpito la preparazione dell'esposizione. Fonte: Il sole 24 ore.



Questo EXPO ha avuto come tema fondante il cibo, avendo come titolo "Nutrire il pianeta". Ritengo che ciò sia stato un collante molto ben escogitato tra politica classica, e ambientalismo. Qualcuno, almeno inizialmente, ritengo che ci avesse davvero creduto a questo tema fondante, in quanto toccava spazi etico-morali ed ambientali.
Tuttavia, solo col progetto s'è andati a porre una pietra tombale su ciò che questa esposizione avrebbe rappresentato.
S'è deciso di prendere una strada fatta di terreni agricoli comprati a prezzi incredibili e cementificati; fatta da infrastrutture esclusivamente tirate su per sei mesi, per poi smantellare tutto entro giugno 2016 e lasciare in eredità meno terra coltivabile e più cemento, dove magari edificare un nuovo quartiere, proprio sulla falsariga del progetto di EXPO Roma 1942.
L'area espositiva è stata di 1,1 milioni di metri quadri. Essa era un'area agricola, dal valore limitato (20-25 milioni di Euro), ma acquistate al prezzo di 142 milioni di Euro. Circa 6 volte tanto il valore originario (fonte: F.Q).

Ma altre contraddizioni arrivano anche dagli sponsor scelti.


GLI SPONSOR

Su questo tema partirei da questo video, che pone Renzi di fronte al problema che svilupperò anch'io. Una domanda netta, precisa, senza peli sulla lingua, fatta da un giovane studente e non da un giornalista, e non è un caso.




La risposta, purtroppo, ha lasciato a desiderare, perché non vedo nessun nesso tra lo scopo di facciata di EXPO e la presenza di multinazionali che hanno scopo opposto dal punto di vista commerciale. Su questa operazione conta solo l'immagine.

Il fine fondante di quest'esposizione universale milanese, come scritto in precedenza, è legato alla salute ed al benessere di tutto il mondo, con riferimento speciale alle zone disagiate ove le condizioni di vita per le popolazioni insediate risultano essere impraticabili. Per questo, avere tra gli sponsor Coca-Cola e MC Donald's è in completa antitesi con lo scopo che, almeno di facciata, s'era mostrato al pubblico.
A MC Donald's è stato affidato uno spazio con una struttura fast-food da 300 posti. Non è attraverso le bevande zuccherate ed il cibo da fast-food che doveva essere promossa quest'esposizione.
E' una presa in giro verso chi si batte giornalmente per promuovere un'alimentazione sana.
La domanda da porsi, attraverso questo macro argomento sarebbe dovuta essere la seguente: che strada dovremo percorrere da oggi in poi, per limitare gli sprechi e produrre più cibo tale da sfamare 7 miliardi di persone?
L'Italia è uno degli Stati in cima per l'obesità infantile, con un 20,9% di bambini in sovrappeso ed un 9,8% di bambini obesi (dati 2014). Non è continuando a pubblicizzare questo tipo di alimentazione che risolveremo problemi patologici dovuti all'alimentazione. Da questi dati, è uscito fuori che il 25% dei genitori intervistati, ha dichiarato che i propri figli non mangiano frutta e verdura su base quotidiana, mentre il 41% ha dichiarato che i propri figli assumono abitualmente bevande zuccherate e gassate.
Se il problema lo allargassimo a raggio più ampio sulle risorse disponibili nel pianeta per ottenere una soddisfazione alimentare per tutti gli abitanti, scopriremmo che 1 miliardo di persone nel mondo è soggetta sofferenza per mancanza di cibo. Per ripianare questo deficit, l'unico modo è modificare l'alimentazione, spostandola da prodotti di origine animale a prodotti di origine vegetale, per il semplice motivo che le terre coltivate andrebbero a soddisfare il fabbisogno umano, e non ad ingrassare bestiame per poi essere macellato e mangiato dall'uomo. Ci sarebbero risorse 10 volte superiori.
E' una questione morale, ma anche etica. Io ho scelto questa strada per motivazioni etiche, sia verso l'uomo e sia verso gli animali, e successivamente salutistiche. Non mangio carne da maggio 2014 e sono vegano da settembre 2014.


GLI STATI NON RAPPRESENTATI ALL'EXPO

A dare forfait all'evento sono state diverse nazioni, per svariati motivi socio-politici o di scarso interesse.  l'Australia e la Nuova Zelanda; la Mongolia; il Canada, l'Honduras, l'Arabia Saudita, la Bulgaria, la Croazia, il Portogallo, la Lettonia, le nazioni Scandinave, come Svezia, Norvegia, Finlandia e Danimarca; ed altri Stati come la Siria, la Nigeria, la Libia, l'Ucraina, il Sud Africa e la Repubblica Centroafricana.
Tra gli assenti sembrava doverci essere anche la Turchia, che aveva la sua candidata Smirne in competizione con Milano per l'assegnazione dell'esposizione, ma all'ultimo c'è stata un cambiamento programmatico; mentre l'India, il secondo Stato più popoloso al mondo, ha partecipato, ma non in modalità ufficiale.


I DATI DI EXPO

Partiamo dal principio del principio.
La previsione d'affluenza originaria di EXPO Milano 2015, nel momento dell'assegnazione dell'esposizione a Milano, era di 29 milioni di visitatori, che avrebbero dovuto portare un ricavo di 520 milioni di Euro derivanti dai biglietti, venduti ad un prezzo pieno di 42 Euro ed un prezzo medio di 18 Euro. Questi dati erano contenuti all'interno del DOSSIER DI CANDIDATURA DI EXPO MILANO 2015.

Col tempo, queste stime sono andate al ribasso. Ecco le dichiarazioni del commissario Sala, del 2 aprile 2015, che hanno rivisto al ribasso di 5 milioni di visitatori le stime iniziali, mentre hanno visto un rialzo di 4 Euro del prezzo medio.

<< Le spese di gestione di una macchina come EXPO ammontano a 800 milioni di Euro. Dagli sponsor abbiamo ottenuto 300 milioni: per raggiungere il pareggio di bilancio è necessario vendere 24 milioni di biglietti a 22 Euro medi >>. (Fonte: Repubblica.it VIDEO).

Ora sappiamo, proprio dal commissario Sala durante la cerimonia di chiusura dell'esposizione, che i biglietti staccati per EXPO Milano 2015 sono stati 21 milioni 500 mila, ad un prezzo medio di 19 Euro. Quindi, facendo una stima con le due previsioni, 7 milioni 500 mila visitatori in meno rispetto alle stime progettuali e 2 milioni 500 mila in meno rispetto alle previsioni del commissario Sala del 2 aprile 2015.

Quindi, se le stime progettuali avevano previsto un introito derivante dai tagliandi pari a 522 milioni di Euro (29 milioni di visitatori X 18 Euro medi a tagliando), e le stime del commissario Sala avevano previsto un introito sempre derivante dai tagliandi di 528 milioni di Euro (24 milioni di visitatori X 22 Euro medi a tagliando), in realtà l'esposizione universale milanese ha avuto un introito derivante dai tagliandi di 408 milioni 500 mila Euro (21 milioni 500 mila visitatori X 19 Euro medi a tagliando).
Sommando 408 milioni 500 mila Euro d'introito dai tagliandi, ai 300 milioni derivanti dagli sponsor, abbiamo un ricavo totale di 708 milioni 500 mila Euro, che non coprono le stime di Sala sui costi di gestione dei 6 mesi di esposizione, precedentemente mostrati e pari a 800 milioni di Euro.
Il debito ammonta, di conseguenza, a 91 milioni 500 mila Euro, stando a questi dati, in attesa di quelli ufficiali.


LA POLITICA DEGLI SCONTI

L'obiettivo è stato sicuramente quello numerico, per andare a raggiungere i 20 milioni di tagliandi.
Il perché è semplice, il raggiungimento di questo numero, agli occhi della gente, avrebbe giovato all'immagine finale e, specialmente, al governo che ha dovuto giocare sulla propaganda della riuscita perfetta dell'avvenimento.
Per questo, è stata fatta una politica di sconti molto aggressiva, al fine di incentivare la vendita, come uno Stato farebbe per rilanciare un settore in crisi attraverso sovvenzioni che tengano in piedi il sistema senza mostrare un collasso in corso.
Immagino che voi sappiate già che ad agosto, attraverso un accordo con l'INPS, i pensionati siano potuti entrare gratis ad EXPO (fonte: sito di expo); anche ai lavoratori a basso reddito è stata data la medesima possibilità, con agevolazioni anche sul prezzo del trasporto verso il sito di EXPO, grazie ad accordi con Trenitalia. I biglietti per gli ingressi oltre le 19, che sono stati, per stessa dichiarazione di Sala, il 15% degli ingressi registrati (almeno fino al 9 luglio), sono stati venduti a 5 Euro.
Il ministero dell'istruzione ha stanziato 3 milioni 500 mila Euro per le scolaresche, abbassando il prezzo d'ingresso a 10 Euro (fonte: sito di expo).
Ancora, per i soci Coop lo sconto sul biglietto è stato del 30% (fonte: il mensile dei soci Coop).
Alcune iniziative di sconto verso le scolaresche sono state ottime, così come verso i pensionati minimi, ma quando si associa uno sconto ad una tessera di partito, trovo il tutto un metodo facilitato per invogliare sia il tesseramento e sia l'acquisto del biglietto EXPO, durante un governo PD; infatti, chi aveva meno di 30 anni, in caso di iscrizione al PD... il biglietto per EXPO è costato il 50% in meno (fonte: F.Q.).
Mentre, ultima chicca, Alitalia regalava due biglietti omaggio a ciascun cliente che fosse partito da Roma o arrivato a Milano (Fonte: F.Q.)
Avrò sicuramente dimenticato qualche iniziativa, ma le principali dovrebbero essere queste.


LA PROVENIENZA DEI VISITATORI

Proprio grazie a tutte queste iniziative, l'afflusso di visitatori nel sito di EXPO, non è stato molto eterogeneo, come ci si aspetterebbe ad un'esposizione universale. Al contrario, esso è risultato decisamente omogeneo. Le verifiche sui flussi presenti nei 6 mesi d'esposizione, è stata più interna che esterna, e ciò significa che le ricadute positive sul P.I.L. italiano non saranno fantastiche, in quanto di ricchezza dall'esterno verso l'interno n'è arrivata pochina. Secondo le statistiche presentate da Wall street Italia, i visitatori sono stati proprio gli italiani, con una predominanza chiaramente lombarda del 38%; mentre i flussi di visitatori esteri si sono fermati al 16% (su una previsione del 25-30%), concentrati dagli Stati confinanti di Francia e Svizzera.
Gli altri afflussi esterni da Italia, Francia e Svizzera sono stati molto limitati e praticamente insignificanti ai fini statistici.

Sono proprio questi dati, a darmi la possibilità di fare un'analisi di qualsiasi manifestazione ciclica, come un mondiale sportivo, un'Olimpiade, un'esposizione universale. Un'analisi seria dovrebbe spiegare che per trarre tutti i benefici illustrati dal governo da una manifestazione del genere, l'evento dovrebbe essere unico nella storia. Questo creerebbe una condizione di ingresso di ricchezza dall'esterno verso l'interno portata dai visitatori stranieri, che alimenterebbe la nostra economia. Ma come abbiamo visto, di EXPO ne abbiamo avuti dal 1851 in tantissimi Stati del mondo, e questo porta ad avere un flusso di ricchezza che attraverso i visitatori esteri, si sposta nel tempo e nello spazio, esattamente dove viene organizzata la manifestazione. Un evento ciclico è un gioco a somma zero, che crea un'illusione di crescita, perché noi italiani andiamo ad EXPO quando è organizzata in un altro Stato, mentre i visitatori esteri vengono in Italia quando l'evento è organizzato qui (ed abbiamo visto che ne sono arrivati pochi dall'estero, purtroppo).
Se l'edizione non soddisfa i requisiti posti come obiettivo dagli investimenti posti in essere, si va addirittura in perdita.
L'incremento di ricchezza, quindi, ponendo pure che ci sia stato, è stato minimo e solo momentaneo perché soggetto a spostamento. Ci sarà un EXPO a Dubai nel 2020! e poi un altro ancora...e ancora...


IN CONFRONTO ALLE EDIZIONI PRECEDENTI

L'edizione del 2010, svolta a Shanghai ha avuto un seguito di 73 milioni di visitatori, ma è stato, esattamente come l'ultimo EXPO di Milano, un'esposizione con un flusso composto maggiormente da cittadini locali. Sarebbe ingiusto confrontare un'edizione cinese con una italiana, dati questi presupposti.
L'edizione del 2000, svoltasi ad Hannover (Germania) ebbe un seguito di 18 milioni di persone, superato dall'edizione di Milano. Essa fu un vero flop, perché organizzata per accogliere un pubblico previsto in 40 milioni. Il buco finanziario fu di 1 miliardo e mezzo, che è vicino al rischio esposto di 1,2 miliardi di buco che parrebbe avere l'esposizione di Milano (fonte: F.Q.).
Sempre da fonte Fatto Quotidiano, si parla di un buco di 400 milioni, che il governo parrebbe voler coprire tramite Cassa depositi e prestiti, facente capo per l'8',1% al ministero di economia e finanza. Proprio il 29 ottobre scorso, il commissario di Expo Sala, è entrato nel consiglio d'amministrazione della stessa.









Non potremo comunque fare un bilancio finale, almeno fino a quando non avremo dei dati ufficiali.
Il numero di visitatori, infatti, è ulteriormente gonfiato rispetto al numero reale per i passaggi del personale che ha lavorato nell'area di EXPO, che sono state almeno 10 mila persone al giorno.
I dubbi sorgono dopo aver visto la differenza emersa nei primi mesi d'esposizione tra i dati espressi ed i dati reali, pubblicati dal Fatto Quotidiano tramite le tabelle.
Sala, nel mese di maggio, dichiarò 2 milioni 700 mila ingressi (in previsione erano 3 milioni 610 mila), mentre a giugno dichiarò 3 milioni 300 mila.  Ecco le tabelle di previsione (Fonte: F.Q.)
Dato smentito dal Fatto, che ha pubblicato 1 milione 927 mila 600 visitatori a maggio e 2 milioni 149 mila 450 visitatori a giugno (fonte: F.Q.).


L'EXPO CHE AVREI VOLUTO

Come finale, vorrei dedicare poche righe all'EXPO che avrei voluto vedere, dato che ormai s'era in gioco.
Un EXPO aperto, diffuso in tutto il territorio italiano, che potesse portare alla luce le potenzialità gastronomiche di tutte le regioni italiane, andando indirettamente a promuovere anche un turismo culturale, sarebbe stata la strada perfetta da perseguire in base alle potenzialità del nostro territorio.
Un'occasione persa per un cambio di mentalità, diversa dal cemento a tutti i costi come unica occasione di crescita economica.


Aspettiamo i dati definitivi per chiudere il capitolo EXPO!

Alla prossima!







mercoledì 4 novembre 2015

RILEVAZIONI ISTAT - LA BALLA DELLE DIMINUZIONE DELLA DISOCCUPAZIONE A SETTEMBRE 2015.

Salve gentili lettori.

Questo articolo sarà dedicato ai dati diffusi venerdì 30 ottobre dall'ISTAT, riguardanti il tasso di disoccupazione, occupazione e inattività, oltre ai dati in termini assoluti, che ora andremo ad analizzare.

Mi sono sentito palesemente obbligato a scrivere un articolo su questo tema perché purtroppo, per l'ennesima volta, ho notato un'informazione tendenziosa e parziale, specie nei telegiornali (che è ciò che mi spaventa di più), che da sola non mostra la vera faccia dei dati pubblicati dall'ISTAT. Raccontare solo una parte della verità è ormai tecnica risaputa, ma facile da smascherare. Tocca a noi cittadini munirci di santa pazienza, per andare ad analizzarci personalmente i dati facilmente reperibili proprio nel sito dell'ente statistico.


Buona lettura!


Precedentemente, ho scritto che i dati abbiano effettivamente avuto una spiegazione parzialmente giusta, ed ora, entrando nel dettaglio, mi voglio spiegare meglio. Secondo i rilevamenti effettuati nel mese di settembre, l'ISTAT ha rilevato un tasso di disoccupazione in diminuzione dello 0,1% rispetto al mese precedente. Perfetto, questo dato è stato diffuso nei telegiornali nel modo appropriato. Avrete sicuramente sentito anche voi una grossa festa generalizzata sulla "ripresa economica ormai in atto". Quante volte l'abbiamo sentito dire dal 2008 ad oggi? Tante, io ci sono cresciuto con queste dichiarazioni. 

Ma andiamo avanti.

Un altro dato che emerge dalla pubblicazione dell'ISTAT è la diminuzione del tasso di occupazione dello 0,2%. Il dato riguarda 26 mila lavoratori dipendenti e 10 mila lavoratori in proprio. Quindi, ora abbiamo da analizzare due dati apparentemente in contrasto: da una parte, un tasso di disoccupazione in discesa; dall'altra, un tasso di occupazione che segue lo stesso trend del tasso di disoccupazione, andando anch'esso verso il basso. Sembra paradossale, ma non è così. Tutto ha una sua spiegazione.

E la spiegazione è la seguente.

L'ISTAT rileva in termini assoluti una diminuzione degli occupati pari a 36 mila unità, ovvero quel famoso -0,2% del tasso di occupazione che abbiamo visto in precedenza. 
Associato a questo, continuando l'analisi, scopriamo che in termini assoluti abbiamo avuto una diminuzione della disoccupazione di 35 mila unità.
Dobbiamo però sapere che lungo queste analisi la popolazione non viene esclusivamente divisa in OCCUPATI E DISOCCUPATI, ma anche in INOCCUPATI.
La distinzione tra un disoccupato e un inoccupato è semplice: il disoccupato è un cittadino che è in gioco nella ricerca di un lavoro, mentre un inoccupato è un cittadino che dopo un periodo di ricerca, si è arreso alla sua condizione sociale ed ha smesso di cercare lavoro (dato dai 15 ai 64 anni).

E' proprio per questo motivo che il tasso di disoccupazione può scendere nello stesso momento in cui decresce anche il tasso d'occupazione. Semplicemente, le diminuzioni di occupati ed inoccupati vanno a confluire nel settore degli inoccupati.

Ed infatti, nella rilevazione pubblicata il 30 ottobre scorso, gli inoccupati hanno avuto un incremento in termini assoluti di 53 mila persone (36 mila femmine e 17 mila maschi). Negli ultimi 3 mesi, abbiamo avuto un aumento dell'inoccupazione dello 0,4% (+0,6% a luglio, -0,6% ad agosto e +0,4% a settembre).

Ricapitolando:

DISOCCUPATI    - 35 mila persone;
OCCUPATI          - 36 mila persone;
INOCCUPATI     + 53 mila persone;


Il dato preciso delle spostamento da categoria a categoria non possiamo saperlo, perché non sappiamo quanti disoccupati siano ricaduti nella categoria OCCUPATI (per aver trovato un lavoro) e quanti invece nella categoria INOCCUPATI, essendosi arresi dopo mesi/anni di ricerche nulle. 
Tuttavia, possiamo dire che 54 mila persone in più del mese precedente non hanno un'occupazione 53+(36-35)= 54.

Il governo si vanta di questo dato, cari lettori. Ora che sapete...diffondete. Nonostante lo scandaloso Jobs act (qualora aveste lacune sul tema, IL JOBS ACT, NUDO E CRUDO.) che ha reso carta straccia i contratti di lavoro, tanto da annullare i contratti a tempo determinato, cancellando ogni speranza di pianificazione del futuro per le giovani generazioni a nome della flessibilità. Flessibilità significa salari più bassi per eccesso dal lato della domanda d'occupazione. Ci sono tanti disoccupati, abbassando i diritti si tiene il lavoratore "per le palle", tanto un sostituto sarebbe li pronto ad un salario ancora più basso. 
Nonostante l'abbassamento di salari e diritti, si è ottenuto in un anno un abbassamento del tasso di disoccupazione esclusivamente di un punto percentuale (notare che partivamo dal massimo storico, quindi peggio di così non si poteva fare). Tutto questo ottenuto da sgravi fiscali presentati dal governo alle imprese con le coperture solo annuali (2015), trovate attraverso la soppressione della legge 407/1990, che dava sgravi strutturali, non esposti a pareggio di bilancio (essendo la norma del 1990, e quindi esterna alle regole del fiscal compact) per 20 mila Euro a lavoratore, contro i 24 mila di Renzi, per un anno.
Ora, per l'anno 2016, il governo li ha più che dimezzati, portandoli a 6500 circa. Vedremo gli emendamenti alla legge di stabilità, comunque. E vedremo gli effetti che ci saranno lungo l'anno prossimo.
Salari più bassi significa tentativo di recuperare competitività abbassando i prezzi dei beni prodotti tramite tagli agli stipendi e ai diritti dei lavoratori. E' così che funziona l'Eurozona, e ciò che è più brutto, è il fatto che la partita si gioca dentro l'unione monetaria europea, non fuori.
Tutto questo si chiama DEFLAZIONE SALARIALE. Leggetevi qualcosa sul tema, perché ci siamo dentro. Vi propongo un mio articolo sul tema: EURO - IL LEGAME TRA AUSTERITA' E DEFLAZIONE.


Tutti i dati che vi ho esposto in questo articolo sono contenuti qui in questo documento P.D.F. del sito dell'ISTAT, cliccate qui dentro DATI ISTAT SETTEMBRE 2015, andate nella tabella a pagina 2 e verificate.

Alla prossima! condividete!!



venerdì 30 ottobre 2015

BAIL-IN - SEI MIO SOCIO, MA SOLO QUANDO VADO IN PERDITA.

Salve gentili lettori.

In questo articolo vorrei parlarvi di BAIL-IN. Alcuni di voi conosceranno questo tema da qualche mese, mentre ad altri sarà sfuggito, perché i mezzi d'informazione tendono a spostare l'attenzione su temi secondari. Questo tema colpirà tutti i cittadini aventi un conto corrente bancario con un capitale superiore ai 100 mila Euro, ma purtroppo questo è solo l'inizio, ed il capitale depositato è facilmente plausibile che andrà via via diminuendo verso somme molto minori (esempio i 30 mila Euro garantiti in Germania), quindi meglio prepararsi con consapevolezza.

Esso entrerà in vigore dal 1° gennaio 2016, e quindi comincerà a mettere a rischio chi ha conti correnti con depositi non garantiti superiori ai 100 mila euro.

In sostanza, quando si parla di BAIL-IN, si va a toccare un principio già esistente in altri Stati (vedi U.S.A), secondo cui i correntisti di una banca, in caso di perdite dello stesso istituto bancario ove abbiano preventivamente posto in custodia i loro risparmi, siano obbligati a partecipare alle perdite dell'istituto tramite un prelievo forzoso dal conto corrente.
In questo modo le perdite registrate dagli istituti verranno appianate da prelievi forzosi dai conti dei correntisti (cioè noi), ma non solo.


Per semplificare ancora di più: si diventerà praticamente soci dell'istituto bancario dove abbiamo aperto un conto corrente, ma solo nel momento in cui l'istituto dovesse andare in perdita. 
Si aprirà quindi un caso quanto mai contraddittorio, perché diventeremo soci dell'istituto non nella sua globalità, ma solo in caso di perdita. In caso di utili, non parteciperemo alla divisione di tali somme. 
Ci sono già esempi storici, anche dentro l'Unione Europea. Vi ricordate il crack del sistema bancario Cipriota? In quel caso, ci fu l'applicazione del BAIL-IN tramite prelievo forzoso sui conti correnti dei correntisti. Pare che il sistema sia piaciuto così tanto, che dal 2016 verrà applicato anche nei restanti Stati, attraverso la Direttiva dell'Unione Europea 2014/59/UE 


Facciamo un esempio.
Un istituto bancario che chiameremo TIZIO, registra delle perdite e per non fallire andrà ad appoggiarsi a tutti quei soggetti facenti parte del suo sistema: azionisti, obbligazionisti e correntisti.
L'ordine è proprio quello indicato, a scalare. Prima verranno colpiti gli azionisti, poi gli obbligazionisti ed in fine, se necessario, anche i correntisti tramite prelievo forzoso dal conto corrente.
Precedentemente, quando un istituto bancario andava in sofferenza, per tutelare i correntisti interveniva anche lo Stato a salvarla, fatto che a me non è mai piaciuto più di tanto, per il semplice fatto che, dopo averlo risanato, l'istituto continuava a restare privato.
Sbagliatissimo e profondamente ingiusto nei confronti di tutti i contribuenti di uno Stato, anche se un istituto bancario non si può lasciare al suo destino facilmente. Semplicemente, una volta cominciata una procedura di salvataggio con soldi pubblici, l'istituto andrebbe nazionalizzato.


Per capire nel dettaglio il contesto, vi consiglio vivamente l'intervento del cittadino portavoce m5s alla Camera dei deputati, Alessio Villarosa.



Alla prossima.

giovedì 22 ottobre 2015

LEGGE DI STABILITA' 2016 - DECONTRIBUZIONI SI', DECONTRIBUZIONI NO . COLLEGAMENTO ALL'ART.8 COMMA 9 DELLA LEGGE 407 DEL 1990, ORMAI SOPPRESSO.

Salve gentili lettori.

Siamo in tema di legge di stabilità, e su questo articolo vorrei fare una correlazione tra un aspetto della legge di stabilità 2015, e quella che sarà del 2016. Della legge di stabilità dell'anno prossimo non conosciamo ancora il testo, in quanto, fino a ieri, circolavano esclusivamente delle bozze.
Tuttavia, già da stamattina dovrebbe esserci la bozza definitiva.
A quanto pare in tema fiscale, però l'UE pare avere qualcosa da ridire con la documentazione presentata dal governo, in quanto non conforme con le regole dell'Europa. Tuttavia, sappiamo che il primo ministro Renzi, dichiarò pochi giorni fa che, qualora le proposte del governo fossero state respinte in sede europea, non ci sarebbe stato nessun aggiustamento, in quanto l'avrebbe ripresentata tale e quale.
Per ora possiamo farci un'idea prendendo come al solito i tweet magici del premier Renzi, quindi tappiamoci il naso e facciamo di necessità, virtù.

Ecco il tweet del premier, datato 15 ottobre 2015.


" ANCORA SGRAVI PER CHI ASSUME, MENO DI PRIMA PERO', AFFRETTARSI PREGO #ITALIACOLSEGNOPIU' ". 


Riprendo un tema che ha già trattato la portavoce Lezzi durante la manifestazione #Italia5stelle nella serata di domenica.
Vi ricordate, circa un anno fa, il video caricato sul canale youtube m5s parlamento, che spiegava il comportamento del governo sul tema decontribuzioni? Eravamo in pieno periodo di discussione della legge di stabilità 2015. Questo video, girato dalla portavoce Catalfo e dal portavoce Puglia, si denunciava il fatto che, per coprire finanziariamente l'esborso delle nuove decontribuzioni proposte dal governo Renzi, si stesse sopprimendo l'articolo 8 comma 9 della legge 407 del 1990, anch'esso in tema decontribuzioni.

Ora spieghiamo bene le differenze tra la legge del 1990 e quelle della legge del 2015 di Renzi.

La l'articolo 8 comma 9 della legge 407 del 1990, nacque dalla necessità di combattere la crisi economica che accompagnava il sud Italia, nell'ormai storico problema denominato "crisi meridionale", mai totalmente risolto. Problema storico. 
Grazie a questa legge, le imprese che avessero assunto dei disoccupati, avrebbero avuto diritto a sgravi fiscali sotto forma di decontribuzioni. Specificatamente, essa prevedeva uno sgravio totale dei contributi ed uno sgravio totale del premio INAIL per le imprese.
Essa non funzionava esclusivamente per il meridione, ma aveva applicazione, seppur dimezzata, anche per le altre zone d'Italia.
Questa norma, aveva ormai una copertura finanziaria strutturale, che si ripeteva da 24 anni. Essendo stata approvata nel lontano 1990, essa non era soggetta alle regole del pareggio di bilancio, al contrario della legge di Renzi del 2015. 
Ciò che esprimevano i due portavoce al Senato del m5s, era la possibilità, se proprio Renzi avesse voluto portare avanti il suo spot di promozione sul nuovo Jobs act, di bloccare la norma strutturale per un anno, per poi finanziarla nuovamente dal 2016 in poi.
Al contrario, purtroppo, questa norma è stata soppressa, ed ora non si potrà più finanziare una misura del genere senza doverla intrappolare nelle strettissime maglie del pareggio di bilancio.


Ora passiamo alla proposta del 2015.

Questa misura approvata in legge di stabilità 2015, andava a vantaggio della diminuzione di disoccupazione, esattamente come la 407 del 1990, tuttavia questa norma deve sostanzialmente rigenerarsi tutti gli anni, trovando di anno in anno le coperture finanziarie per continuare ad essere applicata, dovendosi salvare dalle maglie strettissime del pareggio di bilancio.


Ed è proprio qui il trucchetto.

Nell'anno 2015, la legge del governo Renzi dava fino a 24 mila Euro di decontribuzione alle aziende che avessero assunto disoccupati, essa fu finanziata dalla soppressione dell'articolo 8 comma 9 della 407 del 1990 per la quasi totalità. 
Oggi, sappiamo per certo (dal tweet di Renzi) che le decontribuzioni alle aziende che assumeranno disoccupati nell'anno 2016 saranno dimezzate. 
Dalle bozze pare che le decontribuzioni si fermeranno ad un massimo di 6500 Euro, cioè 17500 Euro in meno rispetto all'anno 2015.

Ed ora la mazzata finale. Sapete a quanto arrivavano le decontribuzioni con la norma 407 del 1990, che veniva finanziata da 25 anni, senza dover preoccuparsi del pareggio di bilancio?? Ve lo dico io; arrivavano a 20 mila Euro.

Purtroppo non ho trovato il video di riferimento del 2014, ma c'è comunque l'intervento in Senato del portavoce Puglia, durante la discussione della legge di stabilità 2015. Il finale del suo intervento è dedicato a questo tema.


Ed ora lecchiamoci le ferite.

Alla prossima.




venerdì 16 ottobre 2015

L'ANALISI DI UN TWEET PIDDINO. IMMIGRATI E AUTOCTONI MESSI GLI UNI CONTRO GLI ALTRI.

Salve gentili lettori.

Vorrei partire da quest'immagine.



Questo tweet del PD pone quantomeno degli interrogativi, perché interpretabile in due modi differenti.

Si parla manodopera straniera che si sta sostituendo a quella autoctona nei processi produttivi. C'è un fortissimo rischio di possibili incomprensioni in questo messaggio, ed esse non sono di poco conto.

Si dovrebbe parlare di integrazione ed inserimento degli immigrati nel mercato del lavoro (sotto forma di nuova offerta), ma non di sostituzione. La sostituzione è premeditata a tavolino; l'inserimento, invece, avviene di pari passo con l'integrazione, a pari condizioni contrattuali con il resto della popolazione autoctona. Altrimenti si rischia di far intendere che la manodopera immigrata porti vantaggi perché meno remunerata, di conseguenza aiuti ad abbassare i costi di produzione e quindi il prezzo del prodotto finale (il che è già realtà, il problema è conosciuto ed esiste da un pezzo).

L'altra interpretazione è contraria alla prima. 

Ovvero, che questa situazione porti svantaggi agli autoctoni, costringendoli ad abbassare le loro richieste salariali per le prestazioni lavorative offerte. Il rischio di uscire fuori dal mercato del lavoro, contrariamente, sarebbe troppo alto. Su questo secondo ragionamento le forze di destra ci marciano alla grande. 

Ma la verità sta nel mezzo. Sappiamo che il risultato finale d'un abbassamento globale dei salari è stato perseguito, ed il motivo è la corsa all'abbassamento dei costi di produzione, che hanno incisione diretta sui prezzi dei beni, che penalizza sia gli immigrati che gli autoctoni per quanto riguarda l'aspetto salariale. Entrambi usati come capro espiatorio e messi gli uni contro gli altri a tavolino, mentre, al contrario, dovrebbero lavorare di pari passo per i loro diritti.
Parolina magica: jobs act; seconda parolina magica: deflazione salariale. La corsa all'esportazione disperata perseguita obbligatoriamente dagli Stati interni all'Eurozona porta a questi risultati, è chiaro.
C'è un continuo livellamento al ribasso per rimanere competitivi nel settore export, altrimenti si verrebbe tagliati fuori. Nel mentre però la domanda interna viene pugnalata continuamente da un minor reddito. Ci ritroviamo, quindi, con un tasso di disoccupazione estremamente importante.


Ricordate le parole di D'Alema sull'immigrazione in Europa? Nel dubbio vi posto il video.




La motivazione è solo questa, non c'è buonismo in queste parole, ma c'è da dire che, in questo caso specifico, non viene coperta la realtà del progetto con frasi di miele.

Alla prossima.

Ps. Nel mentre siamo ritornati nuovamente in deflazione....

martedì 8 settembre 2015

LA STRUMENTALIZZAZIONE DELL'ACCOGLIENZA ED I FINI MACROECONOMICI.

Salve gentili lettori.

Vorrei dedicare questo breve articolo ad una visione del tutto personale, come i blogger devono esprimere, rispetto all'inversione di tendenza sui flussi migratori attuata dalla cancelliera Merkel.
Mi piace confrontarmi continuamente, e lo faccio anche attraverso questo mezzo mettendovi a disposizione il mio punto di vista, anche su questo tema.

Buona lettura.


Le strumentalizzazioni le viviamo tutti i giorni, sia a livello politico e sia a livello socio-economico, perché senza entrare nei fatti puramente umanitari la politica non esisterebbe, essendo essa la scienza che dovrebbe trovare le strade migliori per far coesistere le diversità esistenti in una società civile.
Esse alla fine hanno due costanti fisse: il consenso elettorale e gli aspetti economici.
La maggior parte delle volte queste costanti si incontrano, trovando un equilibrio nella scelta politica che viene successivamente eseguita.

Questo è anche il caso, secondo la mia modesta visione, della scelta della Merkel rispetto all'accoglienza dei profughi siriani. Gli aspetti da osservare sono sostanzialmente 2:


1) Pulizia dell'immagine dell'esecutivo tedesco

Dopo il trattamento che è andato a colpire il popolo greco, contrariamente ai principi di cooperazione e fratellanza espressi dall'ideologia europeista, serve un'apparente scelta drastica che mostri valori opposti a quelli prodotti con la Grecia. Esso è stato indubbiamente un bruttissimo colpo per l'immagine della Merkel, che però, politicamente parlando non aveva altra strada se non proseguire nella sua menzogna ideologica, perché se avesse scelto una strada opposta e quindi "europeista" avrebbe fatto crollare il castello di carta costruito all'insaputa dell'elettorato tedesco.
Questo castello di carta è dato dall'informazione filo governativa che ha sostanzialmente riprodotto in scala evidentemente più ampia un questione storicamente italiana, ovvero una riproposizione di una sorta di "questione meridionale europea", con conseguenti addossamenti di colpe verso i PIIGS che nel concreto non esistono.
In realtà anche restando nei confini tedeschi è esistita ed esiste tutto sommato ancora, come esiste ancora in Italia, una differenziazione tra lo sviluppo economico di zone geografiche diverse della nazione; nel caso tedesco si parla di sud - ovest ed nord - est. La riproduzione tedesca sarebbe quindi una "questione nord-orientale".
Addossando dall'inizio della crisi economica in poi, colpe che i paesi meridionali dell'Europa non avevano, per coprire sacrifici derivanti dalle riforme di deregolamentazione del mercato del lavoro applicate dalla Germania, l'esecutivo tedesco si è creato una corazza, che ora tuttavia pesa come un macigno.

Con la l'inversione di tendenza applicata però esclusivamente ai profughi siriani, la Merkel crede di farsi un bagno e sciacquarsi dal punto di vista politico;


2) Una visione economica di questa scelta

Mi piacerebbe pensare che l'improvvisa politica d'accoglienza della Merkel sia prodotta da un senso di comunità e fratellanza, ma purtroppo non ci riesco.
Mi piacerebbe, però ricordo l'intervento della bambina palestinese nella televisione tedesca, e ricordo anche la risposta della Merkel ed il conseguente pianto della bambina.
E' passato solo un mese e mezzo da quel giorno, non prendiamoci in giro, dai.
La risposta della Merkel nel suo contenuto tuttavia non fu sbagliata, perché permettere l'ingresso a tutti indistintamente sarebbe sicuramente un'operazione ingestibile. Allo stesso modo, nel caso dei profughi siriani si sta facendo una selezione di chi accogliere e chi no, ma non seguendo modalità che mettano sullo stesso piano profughi di guerra di qualsiasi Stato, ma selezionando da un popolo ben preciso che possa essere integrato e che abbia già vissuto in condizioni socio-economiche tali da facilitare il processo. Chi meglio dei siriani?
Secondo me, dietro questa scelta apparentemente tendente alla fratellanza ed all'accoglienza fine a se stessa, c'è un fine di economico, ovvero il reclutamento di nuova manodopera a basso costo, per creare nuove politiche di deflazione salariale e di sostegno alla riforma delle pensioni.

Come entreranno quindi i profughi siriani in Germania, e soprattutto, per che fine?

Perché in sede comunitaria la possibilità di smistare i flussi migratori, con precedenza data ai profughi di guerra, secondo le esigenze dei profughi stessi e le possibilità d'accoglienza degli Stati non è stata accettata? La mozione Di Stefano (m5s) presupponeva anche questo, è stata approvata dal Parlamento e deve trovare applicazione in sede comunitaria, cosa che per ora non è avvenuta.



Selezionare tra profughi di serie A e profughi di serie B non è umanamente corretto, oltre che essere l'altra faccia della stessa medaglia..

Alla prossima.


lunedì 7 settembre 2015

LIBRI - LA CASA IN COLLINA, DI CESARE PAVESE. ALCUNI PASSI TRA PASSATO E PRESENTE E CONSIGLI SULLA LETTURA DELL'OPERA.

Salve gentili lettori.

In questi mesi mi sono dedicato alle lettura di libri aventi come filo conduttore la seconda guerra mondiale. L'ultimo libro che ho finito pochi giorni fa, è l'opera di Cesare Pavese "La casa in collina". Un libro molto bello, che consiglio vivamente. 
In questo articolo vorrei soffermarmi proprio su alcuni passaggi di quest'opera, che mi hanno colpito molto e che ritrovano, nonostante il periodo storico differente, un collegamento con la situazione socio-economica attuale.

Buona lettura.


La casa in collina è un'opera che risale al periodo post resistenza, perché fu scritto da Cesare Pavese tra il settembre del 1947 ed il febbraio 1948. Essa si colloca quindi nel periodo successivo allo storico referendum istituzionale a suffragio universale tenutosi il 2 giugno 1946, che ebbe come quesito posto agli italiani, la scelta tra Monarchia e Repubblica.
Fa parte di una sorta di collana di opere che sono andate a completare quello che fu il periodo storico tra ventennio fascista, seconda guerra mondiale, resistenza e post-resistenza.
Pavese subì su se stesso la forza squadrista del ventennio fascista, perché fu arrestato ed incarcerato, con l'accusa di antifascismo, arrivata dopo una perquisizione fascista nella sua abitazione, conseguenza della sua frequentazione con intellettuali antifascisti. Nella perquisizione nella sua abitazione, fu trovata una lettera di Altiero Spinelli, già incarcerato a Roma.
Fu prima arrestato, poi imprigionato e processato, con condanna a 3 anni di esilio in Calabria.

In quest'opera, il personaggio di Corrado riflette il carattere stesso di Pavese, timido, introverso, amante della solitudine e molto riflessivo. Durante la seconda guerra mondiale, lui, professore a Torino, passa le nottate in collina in un'osteria, con la fedele compagnia del suo cane Belbo, che inizialmente risulta essere l'unica sua compagnia. In collina trova protezione dal rischio di perquisizioni e bombardamenti tedeschi. Qui ritrova una sua ex fidanzata, Cate, scoprendola mamma di un giovane bambino di nome Corrado, detto "Corradino". In lui cominciano a instaurarsi dubbi sulla possibilità di essere il padre di Corradino, seppur Cate, continui a negare quest'eventualità.
Il suo rapporto con Corradino diventa sempre più amichevole, in quanto il bambino lo vede come un punto di riferimento in conoscenza, e curioso, chiede a Corrado di accompagnarlo nei boschi per ricevere conoscenze scientifiche.
Durante il racconto, Cate sarà presa ed imprigionata dai tedeschi, mentre Corrado e Corradino scampano alla perquisizione per spostarsi in un convento a Chieri.
In chiusura, Corrado, avvisato di un possibile arrivo dei tedeschi, scappa dal convento di Chieri per spostarsi nel paese dei suoi genitori, mentre Corradino scappa anch'egli dal convento qualche giorno dopo Corrado.



Ora vediamo i passi che mi hanno colpito di più.



                                                              PRIMO PASSO.


Restai solo con Cate. - Non vieni a sentire la radio? - mi disse.
Fece un passo con me, poi si fermò.
- Non sei mica fascista? - mi disse.
Era seria e rideva. La presi per mano e sbuffai. - Lo siamo tutti, cara Cate, - dissi piano. - Se non lo fossimo, dovremmo rivoltarci, tirare le bombe, rischiare la pelle. Chi lascia fare e s'accontenta, è già un fascista.
Non è vero - mi disse, - si aspetta il momento. Bisogna che finisca la guerra.


Questo primo passo ripercorre una divisione storica presente nel periodo del ventennio fascista, all'interno dei cittadini e più specificatamente degli intellettuali che non si schierarono apertamente a sostegno del regime. Questa divisione viene tuttora ricordata in: antifascisti ed indifferenti.
Gli antifascisti, schierati apertamente in prima linea contro il regime; gli indifferenti in una posizione titubante, di attesa perenne.
Questa posizione d'attesa è del tutto comprensibile se riportata in un periodo storico dove, qualsiasi cittadino non iscritto al partito fascista, rischiava di fare la fame mandando a rotoli la sua famiglia. Basta ricordare, per esempio, il metodo di reclutamento dei lavoratori utilizzato in quel periodo, con graduatorie di disoccupati che venivano classificate in anzianità d'iscrizione al partito fascista. Conseguentemente, molti padri di famiglia se volevano sperare in un'occupazione erano costretti a mascherarsi a malincuore da fascisti, a crearsi una corazza fasulla per il bene della sua famiglia.
"Chi lascia fare e s'accontenta, è già un fascista".
Oggi, quest'affermazione potremmo proiettarla al presente, in un'idea di mantenimento dello status quo di chi, pur essendo indignato per gli eventi che si sono susseguiti e che si ha il sentore possano materializzarsi ancora, mette un tappo alla sua voglia di rivolta, perché in questa condizione c'è chi ci galleggia bene, tutto sommato.
C'è chi, tuttavia, è riuscito coraggiosamente a ribaltare qualsiasi ragionamento sullo status quo, forse perché in condizioni più drastiche rispetto a quelle italiane, ed è stato il popolo greco. Ha dato a tutti una lezione di coraggio, seppur il referendum che n'è stato il punto più alto, si sia poi dimostrato una farsa.



                                                             SECONDO PASSO.


Allora rientrai nel discorso. - Non parlo di questo. Non parlo di classi. Fonso ha ragione, si capisce. Ma noialtri italiani siamo fatti così: ubbidiamo soltanto alla forza. Poi, con la scusa ch'era forza, ci ridiamo. Nessuno la prende sul serio.
- I borghesi no certo.
- Dico di tutti gli italiani.
- Professore, - esclamò Nando a testa bassa, - voi amate l'Italia?
Di nuovo ebbi intorno le facce di tutti: Tono, la vecchia, le ragazze, Cate. Fonso sorrise.
- No, dissi adagio, - non l'Italia. - Gli italiani.
Qua la mano, - disse Nando. - Ci siamo capiti.



Il fulcro di questo secondo passo è il seguente: "Ma noialtri italiani siamo fatti così: ubbidiamo soltanto alla forza".
Forza, intesa allora come strapotere militare che riesce ad imporre i suoi dicktat ad un popolo incapace di creare una vera e propria controffensiva, ed oggi come strapotere finanziario, in due epoche differenti, ma che tuttavia portano ad un elemento comune: la resistenza.
Forza, vista però anche da un terzo punto di vista, ovvero come "vincolo esterno", che costringa il popolo a fare sacrifici superiori rispetti a quelli di normale coesione sociale, con la prospettiva di una visione rosea del futuro. Sacrifici, sia chiaro, che senza la presenza di questo "vincolo esterno" non avremmo mai accettato di fare e conseguentemente la classe dirigente non avrebbe mai avuto la forza d'imporre.
E' proprio su quest'ottica che è nato il famosissimo detto "ce lo chiede l'Europa". Esso permette alla classe dirigente di scaricare le colpe di una politica di tagli alla spesa sociale e d'aumento dell'imposizione fiscale, evidentemente sgradita alla società civile, sotto l'accomodante idea di "riforma" che ci tenga al passo con gli altri paesi dell'Unione.
In questo modo il governo nazionale che si è sobbarcato l'onere d'imporre queste politiche restrittive riesce nel suo progetto, pulendosi la coscienza davanti al proprio elettorato.




                                                          TERZO PASSO.

Ora che ho visto cos'è la guerra, la guerra civile, so che tutti, se un giorno finisse, dovrebbero chiedersi: - E dei caduti che facciamo? Perché sono morti? - Io non saprei cosa rispondere. Non adesso, almeno. Né mi pare che gli altri lo sappiano. Forse lo sanno unicamente i morti, e soltanto per loro la guerra è finita davvero.



"Dei caduti che facciamo? Perché sono morti?". Una guerra, storicamente porta sempre all'affermazione di un contendente rispetto ad un altro, che dopo aver compreso l'impossibilità del suo progetto, concorda un'uscita in modo pesante. E' stato così per la prima guerra mondiale, dove la Germania pagò a carissimo prezzo il conflitto attraverso una multa salatissima concordata nel Trattato di Versailles del 1919, ed è stato così per la seconda guerra mondiale.
Ogni guerra porta con se delle conseguenze che nessun trattato di pace riuscirà mai a rimarginare. Porta con se ulteriore odio verso altri popoli, che rischia se proiettato nel futuro, di riproporre nuovi conflitti bellici. Ma, soprattutto, come scritto da Pavese lascia con se dei morti. Morti senza un perché, semplicemente vittime d'un fallimento diplomatico o una voglia di predominanza territoriale ed economica.
Qualsiasi siano le modalità delle guerre, vuoi belliche, vuoi finanziarie o economiche, esse lasciano strascichi dove si infilano ideologie di odio razziale, che produrranno esse stesse altri morti.
E' un circolo vizioso, questa domanda alla quale Pavese non si seppe, o non si volle dare (in questo caso), una risposta.


                       CONSIGLI PRECEDENTI ALLA LETTURA DELL'OPERA.

Insomma, io vi consiglio vivamente la lettura di quest'opera, pur non sapendo se il modo di narrare di Pavese possa interessarvi. Vi consiglio, precedentemente alla lettura de "La casa in collina", di leggervi due racconti minori, scritti nel 1942 e nel 1944, in quanto è li che Pavese pose le basi facendo nascere i personaggi ed il comportamento che poi ritroverete nell'opera principale.
Il primo racconto è del 1942 e s'intitola "La famiglia". Qui comincerete a conoscere 3 personaggi: Corrado, Cate e Corradino, anche se in modalità differenti rispetto al racconto principale.
Qui Corrado risulterà essere sempre una persona chiusa ed introversa (esattamente come Pavese), e ritroverà Cate, una sua ex fidanzata, mamma di Corradino, e nascerà il conflitto interiore che ritroverete nell'opera successiva, in quanto anche qui Corrado ha il dubbio che Corradino sia effettivamente suo figlio.
Il personaggio di Cate, nell'opera "La famiglia" credo che sia stato ripreso da un evento reale della vita di Pavese. Cate è una ballerina-cantante che gira il mondo con un suo gruppo di collaboratori, e ritroverà Corrado in un locale di Torino.
Ed effettivamente, nella vita di Pavese, accadde realmente in giovane età di rimanere in attesa all'uscita di un locale di una cantante-ballerina di varietà, esattamente come il personaggio di Cate (scelta che gli provocò una pleurite).
La seconda opera che dovreste leggervi prima di avventurarvi nel testo principale è brevissimo, e s'intitola "Il fuggiasco", scritto nel 1944.
Concetto di fuggiasco che fu portato all'esasperazione ne "La casa in collina", con continui spostamenti dovuti a pericoli di incursioni tedesche che mettessero a repentaglio la sicurezza.






Alla prossima!








martedì 1 settembre 2015

STORIA - NASCITA, PRESA DEL POTERE, SVILUPPO E CADUTA DEL REGIME FASCISTA.

Salve gentili lettori. Qualche articolo fa trattai l'ascesa al potere del Nazismo, cercando di sfatare un falso storico secondo cui esso esplose dopo la crisi inflazionistica post trattato di Versailles. Chiaramente, esso risulta essere un falso storico di portata gigantesca, che dimentica volontariamente almeno 8 anni di storia post primo conflitto mondiale. Esso esplose dopo le politiche d'austerità imposte dal governo Bruning dopo la crisi del 1929, mentre la Germania si risollevò dalla crisi inflazionistica della Repubblica di Weimar già dal 1925. In caso vogliate leggere un mio articolo sul tema, ecco il link STORIA - L'IPERINFLAZIONE DI WEIMAR E' STATA DAVVERO LA CAUSA DEL NAZISMO? O L'AUSTERITA'...

In questo articolo che mi accingo a scrivere, parlerò del Fascismo italiano, ripercorrendo la sua nascita, il suo avvento al potere, lo svilupparsi di una sorta di ideologia fascista lungo il ventennio e la caduta dello stesso.

Proverò a non dilungarmi troppo, ma per trattare un tema così importante bisogna mettere dei punti fissi, imprescindibili. Buona lettura.

Prendere sottogamba il Fascismo come pericolo all'impianto democratico del paese Italia, fu l'elemento decisivo, ma anche l'appoggio di grandi forze politiche dovuto ad un tentativo di sgambetto contro il governo in carica, fecero la loro parte. Quando Mussolini entrò al governo, fu appoggiato da esponenti liberali e nazionalisti, i quali si fusero nel partito fascista nel 1923.
La grande trasformazione ci fu non da un punto di vista economico, ma da un punto di vista del controllo democratico del paese, attraverso riforme forti che colpirono tutti i settori chiave: legge elettorale, lavoro, libertà di stampa, scuola.

La riforma della scuola privilegiò le materie letterali rispetto a quelle scientifiche e diede grossissimi poteri nelle mani dei presidi; la riforma del lavoro impostava un incontro della domanda e dell'offerta attraverso specifici uffici di collocamento, dove i datori di lavoro avevano la possibilità di scegliere il lavoratore da contattare e da mettere sotto contratto, preferendo graduatorie impostate secondo l'anzianità d'iscrizione al partito fascista. Un solo sindacato fascista faceva rispettare i diritti sia dei lavoratori che dei datori di lavoro, reprimendo il diritto di sciopero dei primi ed il diritto di serrata dei secondi (in quest'ultimo caso, solo apparentemente).

La riforma elettorale, prettamente maggioritaria, prese il nome di legge Acerbo, dal suo primo firmatario. Essa passò con l'aiuto dei liberali, nonostante poco prima Mussolini avesse revocato loro alcuni ministeri di cui possedevano il controllo. (vi consiglio la lettura di questo articolo che mette a confronto due leggi elettorali maggioritarie, la Legge Acerbo citata precedentemente e l'Italicum. Vi stupirete. Ecco il link: LEGGE ACERBO vs ITALICUM.).
Mussolini possedeva i ministeri più importanti (interni ed esteri) ed aveva piazzato suoi sottosegretari negli altri ministeri per tenere sotto controllo la situazione politica.
A mostrare la forza del maggioritario furono le elezioni comunali, dove con la forza le forze opposte al fascismo furono fatte fuori, con elezioni farsa e spesso con i soli fascisti come candidati a governare.

Le tecniche fasciste proseguirono sempre con l'arma della forza, accostando una milizia fascista all'esercito di Stato e rivendicando il potere su ciò che i giornalisti potevano o non potevano divulgare, con pene severe per chi avesse osato denunciare fatti o atti in contrasto con il regime fascista o che avessero destabilizzato il potere dell'esecutivo.
A destabilizzare il potere dell'esecutivo ci provò Matteotti nel 1924, quando in Parlamento chiese l'annullamento delle elezioni appena tenutasi, con il listone fascista vincitore facile con il 66% dei consensi, distribuiti a sud, nel padano veneto e nelle periferie, mentre nelle principali città il Fascismo faticava ad imporsi con percentuali importanti, e si limitava a pareggi o vittorie risicate. Lo scontro ideologico tra i partiti opposti al fascismo, tuttavia, semplificarono il compito, annullando di fatto le possibilità d'affermazione dell'anti-fascismo (il cambiamento di questo paradigma, sarà fondamentale a partire dalla seconda metà del 1943).
Matteotti in modo coraggioso, denunciò le elezioni farsa, ma questo gli costò un'aggressione, un sequestro e la successiva morte. Egli fu ritrovato in un bosco alle porte di Roma pochi giorni dopo.

Il percorso che portò il Fascismo a diventare regime fu relativamente lento e si concretizzò piano piano, seguendo un percorso di svuotamento dei poteri parlamentari e aumento spropositato dei diritti/doveri dell'esecutivo. Si passò da un iniziale comitato ristretto di fascisti, senza numero fisso, che si riunivano di notte con Mussolini, per impostare le scelte dell'esecutivo, aldilà degli altri componenti di maggioranza di governo.
La possibilità di emanare norme anche senza il benestare del Parlamento, fu un passaggio fondamentale, ma non decisivo, seppur antidemocratico.


Successivamente gli accordi con il Re, con gli industriali e con la Chiesa, chiusero il cerchio. I patti Lateranensi firmati nel 1929 (firma rappresentata nella foto precedente) furono il culmine del percorso che portarono Mussolini all'apice.
Per mantenersi al potere il Fascismo non si basò soltanto sulla violenza e la coercizione popolare. Mussolini allargò il consenso attraverso strumenti di propaganda affinati per quel periodo storico, come la tecnologia (attraverso la radio) e le organizzazioni giovanili e dopolavoristiche, sfruttando l'impronta dei successi sportivi degli atleti italiani per gonfiare la sua posizione di politica estera.
Famosi intellettuali diedero appoggio al Fascismo, come Pirandello, Gabriele D'Annunzio e Guglielmo Marconi. Queste scelte possono essere tracciate anche come opportunistiche da parte di taluni intellettuali.

Il Fascismo definì addirittura se stesso, attraverso una voce dell'enciclopedia generale realizzata dal fascista Gentile. La definizione, scritta personalmente da Mussolini, puntava a mostrare una posizione nazionalista, non ugualitaria, squadrista e di organizzazione improntata perennemente ad una prossima guerra. L'esaltazione della violenza (con cui i fascisti si fecero spazio inizialmente) mantenne, quindi, una posizione predominante.
Altro concetto fondamentale, fu quello dell'anti-fascismo. Il Fascismo, più che mostrare le sue idee costruttive, tendeva a smontare le posizioni nate nel passato ed ad esso avverse, come il pacifismo, l'umanitarismo, la democrazia. " Solo la guerra porta al massimo di tensione tutte le energie umane e imprime un sigillo di nobilità ai popoli che hanno virtù di affrontarla ".
Nacque l'EIAR (Ente italiano audizioni radiofoniche), ed esso diede una grossa spinta alla diffusione delle ideologie interne al Fascismo, con Mussolini stesso che spesso interveniva in prima persona, facendosi sentire da tutto il popolo e comunicando in modo astuto con loro. Egli veniva udito in qualsiasi zona d'Italia, ed i suoi discorsi semplicistici facilitavano la comprensione anche agli analfabeti.
Le vittorie dell'Italia di Pozzo ai mondiali del 1934 e del 1938, aggiunte alla medaglia d'oro olimpica di Berlino del 1936, furono un grosso assist in termini patriottici, prontamente sfruttato da Mussolini per gonfiare nel popolo un senso nazionalistico.
L'arrivo delle Corporazioni falsificarono i valori rappresentativi in campo, rendendo apparentemente rappresentati nei comuni e nel Parlamento i cittadini operai, che tuttavia venivano semplicemente aggirati in quanto le scelte principali venivano prese direttamente dal partito fascista in collaborazione stretta con i potentati dell'economia italiana.
Opera finale, nel 1939, lo scioglimento della Camera dei Deputati al termine del 29° legislatura e l'avvio della Camera dei Fasci e delle Corporazioni, convocata dal duce Mussolini secondo suoi termini temporali e sciolta da Mussolini tramite suggerimento di un decreto regio.

Come ogni dittatura anche il Fascismo cercò di dare vita a uno Stato totalitario, caratterizzato dall'occupazione di ogni spazio di potere. Nella realtà però il regime non arrivò mai ad ottenere questo fine, fermandosi ad una sorta di totalitarismo imperfetto, in un paese che rispose talvolta con l'opposizione più spesso con l'indifferenza. Con totalitarismo, s'intende l'occupazione totale di qualsiasi spazio di potere, compreso il monopartitismo, che di fatto si traduce in un'assenza di democrazia.
L'opera di comporre un vero e proprio Stato totalitario, tuttavia, fu impressa esclusivamente nella mente dei cittadini meno attenti ed istruiti, perché in realtà Mussolini non superò mai l'importanza figurata del Re, alla quale si doveva pur sempre ritenere servo.
Una resistenza esistette sempre, lungo tutto il periodo fascista, talvolta rappresentata da scontri tra istituzioni fasciste ed esterne al Fascismo. Nello specifico, ricorderei lo scontro sul piano educativo e culturale tra i gruppi giovanili fascisti e le organizzazioni dell'Azione cattolica, che se pur talvolta occultamente, si posizionarono in condizione di essere rivali. Questo creò nella maggior parte dei giovani universitari di diverse località italiane, una scelta d'iscrizione all'Azione cattolica, e non ai giovani universitari fascisti.
Si crearono due situazioni diverse di opposizione al Fascismo, accompagnati da figure illustri della cultura italiana: gli indifferenti e gli antifascisti.
Nel primo gruppo possiamo inserire tutti quei cittadini italiani che rimasero ai margini delle organizzazioni fasciste, che tuttavia negli anni del regime non seppero o non ebbero il coraggio di porsi in prima persona contro il regime stesso.
Dall'altra parte, troviamo gli antifascisti, presenti occultamente nel territorio italiano, anche attraverso quelle organizzazioni partitiche che provavano in segreto a riorganizzare un loro assetto politico, senza tuttavia trovare solide basi d'accordo tali da buttare giù il regime. Possiamo ritenere questi partiti gruppi il germe nascente del CLN (comitato di liberazione nazionale), che nacque successivamente, nel 1943. Alcune personalità importantissime del movimento antifascista, possiamo individuarle in Filippo Turati, Sandro Pertini, Cesare Pavese e Antonio Gramsci, fondatore del partito comunista italiano nel 1921, che nel 1928 fu condannato dal Tribunale speciale a vent'anni di carcere.

Per quanto riguarda il versante della politica estera lungo il ventennio fascista, possiamo dire senza dubbi che uno degli obbiettivi di Mussolini fosse già in origine, quello di far saltare gli equilibri  post bellici europei, affermatisi con il Trattato di Versailles del 1919.
Le mosse di Mussolini, tuttavia, furono lente ed ambigue, in quanto l'Italia sempre secondo il Trattato di Versailles, aveva ottenuto una posizione importante datale dal rango di potenza vincitrice.
La guerra d'Etiopia del 1935-1936, mostrarono la mania imperialista di Mussolini. L'attacco all'Etiopia fu preparato perché essa rimaneva ormai l'unico territorio africano conquistabile, perché non controllato e posto come colonia di uno Stato europeo. Apparentemente la posizione dell'Etiopia all'interno della Società delle nazioni, rendeva difficile un approccio ed un permesso da parte degli altri Stati membri per trovare un cavillo sul quale attaccarsi per dichiarare guerra all'imperatore d'Etiopia Hailè Selassiè. Lo spunto fu atteso fino al 1934, quando uno scontro tra Somalia italiana ed Etiopia, diede il via libera a Mussolini.
Il 3 ottobre 1935 le truppe italiane varcarono il confine dell'Etiopia, dando inizio ad un'aggressione non preventivata, dato che nessuna dichiarazione di guerra fu presentata in date antecedenti all'attacco. L'imperatore d'Etiopia si difese facendo appello alla Società delle nazioni, ed ottenne come risultato delle sanzioni economiche contro l'Italia, che tuttavia con riguardarono embarghi sul petrolio, indispensabile per il proseguimento dell'attacco. Nel maggio 1936, l'Italia sferrò l'attacco decisivo, entrando nella capitale Addis-Abeba. Il sogno imperialistico di Mussolini si realizzò, ma come vedremo successivamente, esso fu scardinato in tempo limitato dai britannici durante la seconda guerra mondiale, sia in Libia e sia in Somalia, Eritrea ed Etiopia.




Come vuole introdurre la foto precedente, nella nostra ricostruzione siamo arrivati al "Patto d'acciaio". Il patto d'acciaio tra i due regimi nazionalistici principali dell'Europa, fu firmato il 22 maggio 1939. Esso conteneva 3 articoli, che sostanzialmente sancivano una santa alleanza tra le due parti, sia da un punto di vista diplomatico, sia da un punto di vista bellico. 
Nello specifico, l'articolo 1, sanciva l'obbligo tra le due parti di un continuo e perenne confronto, allo scopo di trovare intese sulle questioni principali, riguardanti gli interessi comuni ed europei.
L'articolo 2 sanciva l'obbligo di un immediato confronto tra le parti nel caso in cui un avvenimento internazionale avesse posto in pericolo gli interessi comuni delle due parti contraenti, al fine di trovare una soluzione concordata alla risoluzione della problematica in atto.
L'articolo 3 obbligava la controparte ad accorrere a sostegno della prima, nel caso in cui una di esse fosse stata impegnata in un conflitto bellico, sia per attacco subito e sia per attacco portato.


Il secondo conflitto mondiale, per l'Italia cominciò con il famoso discorso di Mussolini, che dichiarò guerra alla Francia ed alla Gran Bretagna.



L'illusione fascista fu quella di entrare in un conflitto che si sarebbe risolto in pochi mesi e l'Italia potesse espandersi territorialmente in Europa meridionale e nel Mediterraneo, compresa la Corsica, Nizza, la Tunisia, Gibilterra, Malta, la Somalia francese e britannica.



Il conflitto nell'immaginario fascista si sarebbe forzatamente dovuto risolvere in un lasso di tempo breve, anche perché l'Italia fascista si mostrava assai vulnerabile da un punto di vista bellico, nei confronti delle altre potenze. Nello specifico, lo era nelle tonnellate di carburante pro-capite a confronto dei contendenti, in quando essa possedeva 3 tonnellate pro capite, mentre gli USA 17 mila; l'URSS 6300; la Germania 3800; la GB 3700 e la Francia 207.
Il 28 ottobre 1940, l'Italia attaccò la Grecia. Data non casuale, in quanto essa coincideva perfettamente con l'anniversario della "Marcia su Roma". Tuttavia l'attacco, anziché distruggere la resistenza del modesto esercito greco, rischio di mettere a repentaglio anche i confini albanesi conquistati precedentemente da Mussolini. Fu un totale fallimento.
In Libia l'attacco britannico su difficoltosamente fronteggiato fino al gennaio 1941, quando l'Italia fu sconfitta e 133 mila italiani furono fatti prigionieri; in Etiopia la sconfitta arrivò nel maggio 1941 e così, cadde l'impero africano italiano, baluardo della propaganda fascista.
Solo l'arrivo degli aiuti tedeschi permisero alle truppe italiane di resistere in Jugoslavia e Grecia, oltre che in Libia, prima della capitolazione del maggio 1943, con la caduta di 200 mila prigionieri italiani.
La propaganda, che aveva tenuto in piedi il regime fascista lungo il ventennio, venne meno dopo queste sconfitte e fu messo in difficoltà dall'insurrezione delle famiglie dei soldati che persero la vita o che furono imprigionati dalle forze nemiche del fascismo. In più, l'insurrezione popolare si fece sentire attraverso l'insurrezione popolare, con manifestazioni rabbiose che spingevano verso la pace e l'antifascismo, alla ricerca del cibo che scarseggiava (nel 1942 la razione di pane giornaliera fu abbassata di 50 grammi, scendendo a 150 grammi a testa).

Nella notte tra il 24 ed il 25 luglio del 1943, il gran consiglio del fascismo votò la sfiducia a Mussolini. Un modo per "salvare" e provare a far reggere un regime che ormai stava cedendo, nel momento in cui il Re accettò le dimissioni di Mussolini, che fu inoltre arrestato.
Nel momento in cui i tedeschi individuarono il luogo dove Mussolini era imprigionato, l'8 settembre 1943 riuscirono a liberarlo e portarlo al sicuro in Germania. Il tentativo di una ricostruzione fascista attraverso la Repubblica sociale italiana, nei territori italiani controllati durante la guerra dai tedeschi fallì. Essa è ricordata anche come "Repubblica di Salò", che in realtà non ebbe mai le sembianze reali di uno Stato sovrano.



Il giorno successivo, il 9 settembre 1943, a Roma, nacque il già citato C.L.N., comitato di liberazione nazionale. Esso fu una sorta di governo ombra, del tutto clandestino, che si mise l'obiettivo di combattere i nazifascisti presenti nel territorio italiano. Per la prima volta dalla marcia su Roma, gli antifascisti riuscirono concretamente a trovare un'unità d'intenti, tale da unire per un unico scopo forze politiche con idee differenti, ma funzionali al progetto di liberazione nazionale. In esso confluirono rappresentanti del Partito Comunista Italiano, della Democrazia Cristiana, del Partito Liberale, del Partito Socialista, del Partito d'Azione e della Democrazia del Lavoro.

Il comitato di liberazione nazionale, accompagnato dalla Resistenza, furono capaci di congiungere con solo attività di disturbo fine a se stesso, come fecero durante il ventennio fascista, ma riuscirono ad organizzarsi in modo molto più incisivo, sia dal punto di vista politico e sia da quello militare.
Nel giugno 1944, Roma fu liberata, la Toscana ad agosto.
Nel nord del paese, l'organizzazione partigiana riuscì a resistere alle milizie tedesche e ad aprile 1945, tutta l'Italia fu liberata.


Nell'immagine precedente, alcuni dei rappresentanti del comitato di liberazione nazionale che sfilarono a Milano dopo la liberazione.

Di conseguenza alla liberazione totale dal sistema fascista della nazione italiana, e con il ritorno ad una nazione democratica, fu indetto un referendum a suffragio universale (per la prima volta comprese le donne), per far decidere agli italiani la forma di Stato che più ritenessero consona, tra Repubblica e Monarchia.

Agli italiani fu presentata la seguente scheda.



Il 2 giugno 1946, fu esercitato il diritto di voto, che diede la prevalenza alla forma repubblicana. Per la precisione, l'esito esatto del referendum fu dato dalla corte suprema di cassazione, che il 12 giugno 1946, proclamò la vittoria della forma repubblicana con 12.672.767 voti, contro i 10.688.905 a sostegno della monarchia. Una settimana dopo, la corte suprema di cassazione  confermò la vittoria repubblicana, con un'ulteriore verifica delle schede che non modificarono l'esito nettissimo del referendum nella sua sostanza, ma che ebbero delle modifiche formali nei numeri. La distanza si mantenne sui due milioni di voti circa. Tutti i ricorsi successivi furono respinti, in quanto questa differenza diede comunque la maggioranza assoluta ai repubblicani.

La notizia fu ripresa nei giorni seguenti dai quotidiani, con prime pagine famosissime che ancora oggi periodicamente ci capita di leggere.


Dell'assemblea costituente parlerò in un altro articolo. Tema lungo ed appassionante, alla quale dedicare un articolo esclusivo!

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